Capitò, tanto tempo fa, che in un circo viaggiante in Danimarca si sviluppasse un incendio. Il direttore mandò al vicino paese il clown già abbigliato per lo spettacolo. Il clown arrivò affannato al villaggio, e supplicò i paesani di accorrere per dare una mano a spegnere l’incendio, che rischiava di propagarsi alle stesse case del paese. Ma le grida del clown furono interpretate come un astuto trucco del mestiere: lo applaudivano e ridevano fino alle lacrime. Il povero clown tentava inutilmente di spiegare che non si trattava affatto di una finzione, di un trucco, bensì di un’amara realtà, e li scongiurava ad andare. Il suo pianto non faceva altro che intensificare le risate. La commedia continuò così finché il fuoco s’appiccò realmente al villaggio e ogni aiuto giunse troppo tardi: sicché circo e villaggio andarono entrambi distrutti dalle fiamme.
Un’amara realtà! Li scongiurava… parole di quasi due secoli fa, quelle del filosofo Søren Kierkegaard, in veste di clown, in lacrime per non essere riuscito a convincere delle fiamme maligne che si diffondevano avvolgendo di fumo e di morte l’umanità di allora. Si sarebbero poi susseguiti per decenni eventi tragici e fiumi di sangue avrebbero attraversato l’Europa, ma, forse, nulla rispetto ai piani orditi un questo scorcio di tempo malvagio, delirante spettacolo di attori e comparse inebriati di insensatezza.
Prima di lui o dopo di lui il dramma interiore del filosofo è quasi sempre lo stesso: si rinnova la sua incapacità di comunicare agli uomini una diversa conoscenza delle cose. Non per forza migliore, ma certamente in grado di ispirare scelte diverse e persino radicalmente alternative a quella dell’apparenza che divora ogni slancio di elevazione spirituale. Il baratro dell’illusione è ampio e impietoso, preparato ad ingoiare ancora esistenze dallo scorrere senza un perché, prive di une vero come, orfane dello slancio dell’anima nel cielo divino della Vita. Ancora vite divorate dall’effimero, cibo indistinto, perpetuo plancton di cui si nutrono i Leviatani, gli abili illusionisti che seducono e spaventano le menti sonnolenti. La tensione millenaria tra apparenza e Verità si sta rivivendo oggi in una quotidianità spietata, dove le coscienze sono travolte dalla loro stessa capacità di riconoscersi artefici del proprio destino. Un’umanità in balia degli eventi, raccoglie ombre di esseri nell’oblio di sé, vuoti della consapevolezza di non essere stati fatti a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza. Dove sei Virtù? Dove ti sei nascosta Conoscenza?
Momento atroce questo 6 dicembre, ultimo di giorni asfissianti in un assedio interminabile dei Pochi verso i Tanti: lo sforzo insistito e spietato a piegare le volontà ad un controllo isterico e furioso camuffato tanto male che solo occhi tumefatti dallo schermo, forse irrimediabilmente, non riescono a vedere. Forzare allo spasimo, tra ricatti e intimidazioni a rendere operativa una globalizzazione genica irreversibile: per salutare il nuovo Impero della Remotizzazione!
La domanda di Aristotele e di ogni filosofo riecheggia oggi più esigente e struggente che mai: Come dovremmo vivere? Sarebbe già grandioso se il clown riuscisse a suscitarla questa domanda, prima che i sorrisi degli spettatori sorridenti ma assenti rendano vano e inascoltato il suo dire. Lo sforzo sembra improbo e il risultato del suo fallimento scontato: è divertente questo filosofo, anche se parla di una realtà che vede solo lui! Pensare tanto fa male. Malgrado l’ironia, capisce: sa che non si superano facilmente millenni di ombre adorate come luce e che il culto delle apparenze è una religione di antica e radicata tradizione. Non diverso da colui che risalito dalla caverna e aperto il suoi occhi al sole si ricorda dei compagni incatenati e ridiscende per parlare loro della verità, anche il filosofo di questa stagione tormentata e fredda accetta la sfida. Esporsi al rischio e all’ilarità sulla sua persona e sulla sua parola fa parte dell’essere innamorato dell’umanità: non sarà spaventato davanti al tragico equivoco di considerare le sue lacrime parte di una scena in cui non vi è alcunché di teatrale. Troppo intensi sono la sua passione e il suo amore per la conoscenza per tener nascosto quanto sia preziosa ed elevata la Vita umana per lasciar la libertà in mani dalle dita artigliate. Potrebbe tacere! Non furono il silenzio e la solitudine struggenti il destino dei filosofi di quel tempo lontano, tanto gigantesche le loro figure ed elevata lo loro conoscenza da essere per sempre sovrumani? Osservavano, pensavano, scrivevano sulla Natura e sapevano che esiste una sola sapienza: riconoscere l’intelligenza che governa tutte le cose attraverso tutte le cose.
Nefasto 6 dicembre, testimone di insipienza senza vergogna! Finzione, trucco… amara realtà! Sì, Come dovremmo vivere? Non ho una risposta, Maestro. Ho studiato ma non so rispondere con la precisione che dovrei dopo tanta scuola con Te. Quel che ho capito però è che certamente non è questa la condizione degna di esseri umani fatti di perfezione e autosufficienza. No, non così, non in questo stato tanto innaturale, così avvilente per l’Uomo misura di tutte le cose. Noi, esseri fatti per la felicità così umiliati da infidi guinzagli intessuti di malvagità. Potrebbe servire a qualcosa porsi su un’altura e gridare le parole del poeta?
Siamo gli uomini vuoti/ Siamo gli uomini impagliati/ Che appoggiano l’un l’altro/ La testa piena di paglia. Ahimè! Le nostre voci secche, quando noi/ Insieme mormoriamo/ Sono quiete e senza senso/ Come vento nell’erba rinsecchita/ O come zampe di topo sopra vetri infranti/ Nella nostra arida cantina.
Siamo questo noi? Fratelli, donne e uomini amanti della Vita, non lasciamo che vinca questo atroce sconforto! Non permettiamo che venga estirpata dai nostri cuori la speranza che non si possa fermare questo orrore vigliacco. Menti malate vogliono la nostra rovina e godono della nostra afflizione! Non cediamo alla disperazione, la sola vera malattia veramente mortale. Rafforziamoci gli uni gli altri nel coraggio di un risveglio alla nostra dignità. Oltre ogni apparente divisione prevalga la condivisa aspirazione al Bene comune e alla concordia delle menti e dei cuori in un’armoniosa unità.
Non si tratta di fare. Anche quello viene, certo, e quasi da solo, ma dopo. Il mantra è ESSERE! Il nostro impegno primo è Essere: Chi vogliamo Essere? Come vogliamo vivere? Una volta destati dal torpore e scrollata l’illusione dagli occhi, allora un nuovo orizzonte sarà limpido davanti a noi. Invincibili nella consapevolezza della nostra Natura spirituale e della nostra unità con la Mente universale, la Sostanza di tutte le cose.
Quel filosofo clown piangeva la sua incapacità di farsi comprendere. Ma dentro, la voce del maestro antico gli parla del solido cuore della ben rotonda verità. Si commuove nell’infinta fiducia della sua consapevolezza: Non c’è nulla che spaventi di più l’uomo che prendere coscienza dell’immensità di cosa è capace di fare e diventare.
Ebbene, anziché spaventarci, cominciamo a gioire di cosa siamo capaci di fare e di diventare!