Eticratico sarà l’Umanesimo Nuovo che sorgerà. Almeno è quello che potrà avere un qualche senso per me. Perché riporterà al centro una visione del mondo intenta ad unire le persone e non a dividerle, nel nome del Bene e della Felicità. Chiaro che può interessare solo coloro che infrangono la soglia della rassegnazione e osano uscire dal gregge televisivo per intraprendere il viaggio dell’eroe verso la riappropriazione della propria vita. Potrà essere impegnativo, ma che soddisfazione! Mi viene alla mente il gabbiano Jonathan Livingston e le sue esperienze di volo nel cielo mentre il suo gruppo trascorre le giornate passando di immondizia in lerciume per un nutrimento che non sazierà mai. La vita è fatta di scelte e se vogliamo evitarle altri le faranno per noi. Non è cosa nuova, lo si sa da tempo: “Il prezzo pagato dalla brava gente che non si interessa di politica è di essere governata da persone peggiori di loro”(Platone).
Mi piace il concetto platonico di “brava gente” e sono convinto che sia di questa categoria la maggioranza degli italiani. Quanto stiamo vivendo in questi ultimi mesi è un effetto. La causa ha sicuramente più sfaccettature, ma un elemento è l’essersi a lungo lamentati in modo sterile senza l’assunzione di responsabilità di ripartire da se stessi. E anche questa non è cosa nuova: “Prima di pensare a cambiare il mondo, fare le rivoluzioni, meditare nuove costituzioni, stabilire un nuovo ordine, scendete prima di tutto nel vostro cuore, fatevi regnare l’ordine, l’armonia e la pace. Soltanto dopo, cercate delle anime che vi assomigliano e passate all’azione” (Platone).
La parola “cambiamento” è tra le più inflazionate, ma non passata al vaglio di alcune domande urgenti: cambiamento di che cosa? Per ottenere che cosa? In che modo ottenerlo? E, su quali presupposti fondarlo? Altrimenti si espande solo altro fumo, si frigge altra aria vanificando la risposta a un bisogno che moltissime persone oggi avvertono come una necessità impellente. Per uscire da un disagio intriso di frustrazione e di avvilimento, offensivo della dignità, quando non vera violenza ferocemente subdola orchestrata di oligarchie occulte. Un cambiamento degno di una qualche credibilità deve posarsi sull’autorevolezza di valori condivisi, il primo dei quali è il Valore del Bene cui ogni Essere Umano ha innato diritto. Qui e adesso.
Il neologismo Eticratico avrà fortuna e sono contento di poterlo arricchire di contenuti. Mi sono avventurato anche in alcune considerazioni riguardo all’Eticrazia di cui ho già scritto tempo fa: http://www.mauroturrini.it/eticrazia/
Risulta intuitivo che essi fanno riferimento ad Etica, termine molto denso per ciò che ha rappresentato e per ciò che deve tornare ad esprimere con portata epocale. Ci sarà modo nel corso dei mesi a venire di ampliare sempre più la riflessione al riguardo e di accogliere continui arricchimenti, tuttavia possiamo ora indicare qui qualche idea, almeno per una embrionale ispirazione. Mi soffermo al momento su cinque concetti affinché il Nuovo Umanesimo al quale aneliamo si distingua, in quanto Eticratico, da ogni altra proposta fino ad ora avanzata. In un era che cavalca slogan, fumosità e contraffazione, avere qualche elemento differenziante permette di dialogare su contenuti e non su chiacchiere.
Dopo aver cercato quindi di definire i caratteri strutturali di un UMANESIMO:
http://www.mauroturrini.it/ancora-nuovo-umanesimo-eticratico-1-umanesimo/
… e dopo aver provato a indicare quali siano i sette motivi per cui esso può essere considerato NUOVO:
http://www.mauroturrini.it/ancora-nuovo-umanesimo-eticratico-2-nuovo/
… mi accingo ora a dare significato alla qualifica irrinunciabile di ETICRATICO.
PRIMO CONCETTO. Si tratta innanzitutto di prendere consapevolezza che stiamo parlando di Comportamenti. Etica e Morale sono spesso usati come sinonimi, cosa che si può anche accettare sapendo che hanno come sfondo comune l’ethos greco e poi il mos latino inerenti in “costume”, ovvero il comportamento umano. Tuttavia l’Etica è venuta prima, nata in ambito filosofico come riflessione speculativa intorno al comportamento pratico dell’uomo, soprattutto ricercando quale sia il vero bene e quali i mezzi idonei a conseguirlo. Molti sono stati i pensatori e diverse le posizioni con interesse a indagare quali siano i doveri verso sé stessi e verso gli altri e quali i criteri per giudicare l’eticità delle azioni umane. Tra altri, Socrate, Aristotele, Kant, Nietzsche con grande impegno hanno affrontato questo versante decisivo della vicenda umana. Nel corso dei secoli si sono formate anche delle etichette a catalogare il complesso di norme “morali” e di costume che identificano un preciso comportamento nella vita privata, sociale e politica con riferimento a particolari situazioni storiche: si è parlato così di etica greca, etica cristiana, etica protestante, ma anche si sono coniate espressioni come etica edonistica, etica utilitaristica, etica razionalistica.
Morale è termine di origine latina che ci mantiene ugualmente nell’ambito del “costume”. Un buon dizionario fornirà molti particolari al riguardo circa l’uso diffuso che ne viene fatto sia come aggettivo che come nome: a noi qui interessa solo rimarcare il fatto che siamo sempre nell’ambito del vivere pratico, dove si chiede una scelta consapevole tra azioni ugualmente possibili cui attribuire il valore di bene e male, di giusto e ingiusto. La riflessione morale ha avuto (e ha) per suo oggetto l’azione e il comportamento dell’uomo, ne analizza i modi, le condizioni e i fini, spesso in relazione ad altri concetti come quello di legge, principio o norma cui tale comportamento si attiene o dovrebbe attenersi. Insomma, è un ambito in cui ci si misura con la capacità di scegliere e di operare, assumendosene in coscienza la responsabilità perché ci si ispira ad un accordo con principi ritenuti di valore universale o contro di essi. Quando si parla di senso morale si intende la capacità di distinguere ciò che è bene da ciò che è male: essa è ritenuta presente in misura maggiore o minore in ogni uomo, innata oppure acquisita con l’educazione e l’esperienza. Inutile dire, il termine “morale” si è inserito nella nostra quotidianità e ne segna inevitabilmente lo scorrere più o meno armonioso in una congerie di comportamenti, mai neutri.
SECONDO CONCETTO. Non solo la filosofia ma anche le religioni hanno sviluppato un’abbondante letteratura a carattere morale. Ma con altra impostazione perché il presupposto è diverso, ovvero teologico. Anche attenendoci solo al Cristianesimo, quale esperienza religiosa storicamente consolidata in Europa da due millenni, non è immaginabile quante pagine di teologia morale siano state scritte e in quanti sermoni e catechesi si siano diffuse le verità riguardanti i comportamenti morali consoni alla fede professata. Nelle religioni infatti i comportamenti privati e sociali sono dettati ai fedeli dall’insegnamento dei sacri testi mediati attraverso l’autorità gerarchica. In certe epoche i trattati di morale erano talmente dettagliati da offrire una casistica totalizzante affinché nulla sfuggisse al catalogo di ciò che era da considerate peccato, e se questo andasse contrassegnato come veniale o mortale.
Eticratico, l’Umanesimo che verrà sarà senza una morale del peccato. Senza colpa e senza pena. Nel senso che, pur rispettando ogni credenza religiosa nella sua offerta di salvezza a chi ritiene di averne necessità, non potrà riguardare solo l’homo religiosus e una visione del mondo teo-logica, ovvero che parli un linguaggio centrato su Dio, su una Rivelazione e su una Tradizione. Potrà accettarne qualche suggestione senza ideologia, ma restando distante dalla modalità escatologica. Detto in altri termini, religioni universali fondate sul Libro come lo sono il Cristianesimo e l’Islam, sono molto proiettate sul futuro che viene presentato ai propri fedeli con qualcosa di meraviglioso, una beatitudine eterna (anche se non per tutti) in cui godere del premio meritato nel pellegrinaggio terreno con tanto sacrificio e buone opere. Insomma, la prospettiva allettante è il Paradiso… nell’aldilà. Quindi la morale religiosa è fortemente strutturata per insegnare comportamenti ispirati ad una vita senza peccato in modo che al momento della morte si acceda al premio celeste che Dio riserverà a quanti sono stati “servi buoni e fedeli” in terra. Nulla da eccepire, si tratta di un punto di vista.
A noi interessa invece molto l’aldiquà. Esso può essere vissuto in molti modi, anche in modo Eticratico, ovvero con un’ispirazione centrata sul Bene per l’uomo individuato nella sua Felicità, caratterizzata da una complementarietà di beni di cui godere fin dal suo primo vagito: quelli esteriori, quelli del corpo e quelli dell’anima. Un aldiquà molto ricco di piacere nel suo senso più genuino perché goduto nella convivenza ispirata dal carattere equilibrato delle Virtù etiche, coronate nello straordinario scenario di una convivenza politica ispirato dell’Amicizia. Un aldiquà Eticratico che si distanzia anche da modelli di ispirazione cristiana più centrati sul presente, come nel caso dell’etica protestante: essa avrebbe informato negli ultimi tre secoli in Europa lo spirito del capitalismo perché in modo razionalistica assegna anche al credente fini essenzialmente mondani, quali l’impegno, il lavoro, la riuscita, e soprattutto l’accumulazione metodica della ricchezza. Si andrà oltre.
TERZO CONCETTO. E ci si andrà riabilitando un termine di portata etica enorme come la Virtù. Sconcerta che si abbia tanta riluttanza a parlare di qualcosa che intesse (o dovrebbe intessere) la nostra quotidianità come persone che vivono il proprio presente con consapevole desiderio di agire tendendo al Bene. Il motivo è, probabilmente, nel fatto che la parola Virtù viene connotata religiosamente, essendo cristianamente carica di senso morale per quanto appreso fin da piccoli nelle dinamiche della vita parrocchiale italiana e non solo. Un timore da cui liberarsi perché l’origine della Virtù come componente strutturale di un comportamento umano ispirato del Bene precede l’era cristiana di parecchi secoli. Con tanto di elaborazione teorica da parte dei filosofi greci.
Coraggio, Temperanza, Liberalità, Magnificenza, Bonarietà, Magnanimità, Affabilità, Sincerità, Garbo, Pudore: una bella sventagliata di Umanesimo! Che meraviglia quando Aristotele parla del “moralmente bello”. Una delle caratteristiche di queste virtù è la loro “mediatà”, ossia l’essere il comportamento equilibrato tra eccesso e difetto: il coraggio, ad esempio, è la virtù di chi evita tanto la temerarietà quanto la viltà. Il detto in medio stat virtus viene da qui. Comportamenti ispirati dall’altro sapiente monito etico scritto a Delfi insieme a Conosci te stesso, ossia: Niente di eccessivo. Oggi anche la psicologia sembra vederne la ragione. Ora, qualificare come Eticratico il Nuovo Umanesimo a cui tendere è un atto appunto di Coraggio perché si vuole innanzitutto svuotare di senso il grande, per quanto evanescente, nemico dell’umanità, ovvero la paura, intesa come aspettativa di un male. Con i comportamenti virtuosi abbiamo la possibilità di spuntare l’arma più temibile ed efficace usata dalla falange burattinaia e disumanizzante al potere oggigiorno.
Perciò è urgente “cor habere“: aver cuore, agire con il cuore. Sì, il coraggio è la forza d’animo che viene da dentro. A volte è anche confortato dal buon esempio dato da altri ed esso permette di affrontare situazioni difficili e avvilenti, compresa la morte, senza rinunciare alla dimostrazione delle più nobili qualità della natura umana. Questo Umanesimo è coraggioso perché vede e propone un Sogno. Di Abbondanza. A tutti noi, menti intorpidite da secoli di menzogne, viene proposta una speranza generativa di energia: per le singole persone e per la loro convivenza civile e amorevole. Finalmente fuori dall’incubo della carenza, della povertà, della miseria.
Eticratici, siamo in piedi davanti alla storia e ribadire la verità che “siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”. E che oggi gli uomini e le donne che lo desiderano devono avere la possibilità di tornare a dire Sì al proprio futuro. A partire da un presente di ritrovata dignità. Va detto che il coraggio non sempre è il ruggito felino dell’eroe. Non di rado è la silenziosa audacia di chi persevera nella volontà di fare il bene. Sovente è anche la tenacia di non cedere agli abbagli delle scorciatoie lusinghiere dell’egoismo per andare impavidi sui sentieri armoniosi dell’altruismo. E questo Umanesimo ha bisogno di essere coraggioso perché è una sfida. Ma con la lucidità di distinguere la fede dalla temerarietà. In passato si chiamavano miracoli, oggi è la consapevolezza scientifica di essere in un Universo quantico dalle infinite possibilità. Sicuro che, al momento, va accettato di essere in pochi ad avere questa visione. Normale che sia così. I pionieri non sono mai molti, anzi parrebbe proprio – come scrive Nietzsche – che “tanto più noi saliamo in alto, tanto più sembriamo piccoli per quelli che restano a terra“.
QUARTO CONCETTO. Per quando in ogni etica o morale elaborata fino ai nostri giorni, la Giustizia sia stata la virtù su cui si è fatto correre l’inchiostro senza badare a spese, non pari considerazione ha ottenuto l’Amicizia. Dommage, perché essa è il cardine della convivenza cui una società dovrebbe aspirare. Che sia fondata sul bene, sul piacere o sull’utilità, essa è la spina dorsale di un’interrelazione che generi il piacere del vivere con altre persone. E quanto più essa si affina tanto più rende quasi inutile la Giustizia perché la suprema delle attività, la Felicità appunto, pervade in un modo così armoniosamente bello il vivere da persone virtuose che si obbedisce istintivamente alla fiducia, alla disposizione a non farsi mai reciprocamente ingiustizia. “Le brave persone non hanno bisogno di leggi che dicano loro di agire responsabilmente, mentre le cattive persone troveranno un modo per aggirare le leggi”. (Platone).
Quelli della teoria dell’homo homini lupus sorridono di certo davanti a tanta ingenuità. E lo stile relazionale dei tempi moderni parrebbero dare loro sicuramente ragione. Noi tuttavia continuiamo a concepire una grande fiducia nella Natura Umana rivisitata da un punto di vista insolito, quello della essenziale spiritualità e della bontà della materia. Questo ci autorizza e non considerare esaurito il tentativo di una convivenza ispirata all’eccellenza della relazione amicale. Il Filosofo ha questa prospettiva interpretativa: “Quando si è amici, non c’è alcun bisogno di giustizia, mentre, quando si è giusti c’è ancora bisogno di amicizia ed il più alto livello della giustizia si ritiene che consista in un atteggiamento di amicizia”. Ma per capire questo serve apprezzare la forza creativa di una condizione armoniosa.
Armonia. Essa è la misura di quanto sia veramente “umano” un Umanesimo. Ossia, quanto tutto ciò che concerne la vita delle persone sia apprezzato e onorato. Rispetto supremo del corpo, eccellenza della conoscenza, espressione sincera dei sentimenti, innalzamento dello spirito. Si sta per celebrare questa armonia, dove tutto inneggia all’unità. Questo Umanesimo è Eticratico in quanto cultore della Concordia, declinata sulla volontà di comporre, accordare più persone riconosciute tutte nel loro Valore. Quando anche una sola delle dimensioni costitutive della persona viene sacrificata, non si ha “umanesimo” il quale è la risultante della presenza dell’armonia nel mondo interno, unica creatrice dell’armonia nel mondo esterno. Il Mondo Migliore sarà tale quando l’Armonia sarà il valore che irrora la vita quotidiana di ognuno, nel godimento di quella prosperità che appartiene a tutti come diritto di nascita. Sopportiamo l’ironia degli scettici appoggiandoci alla saggezza: “Non importa se oggi ci dicono che abbiamo torto. Quel che a noi importa è avere ragione domani“.
QUINTO CONCETTO. L’Educazione. Malgrado il nostro entusiasmo, non siamo sprovveduti al punto da non contemplare che oltre le Virtù ci possa essere posto per i Vizi. Che ci sia una Massa che poco inclina alla bellezza una vita intrisa, tra l’altro, di Temperanza, Sincerità, Magnanimità e Garbo, ora adagiata nella mediocrità ora alla deriva negli eccessi. E che siamo perciò necessarie Leggi per regolare e punire. Ma è qui che entra in campo quell’azione solennemente etica consistente data dall’Educazione. Si tratta di formare l’Uomo di valore. Esso è consapevole del Bene e della Felicità e concepisce la sua vita personale e politica con una finalità: compiere azioni belle e virtuose, infatti, è una delle cose che meritano di essere scelte per se stesse. Dunque, continua Aristotele, la cosa migliore, dunque, è che vi sia una corretta educazione pubblica.
Si sa, Educazione viene da e-ducere, condurre fuori, estrarre, portare a evidenza e, quindi, un percorso che porta a rendere migliori le persone attraverso, forse come prima cosa, la consapevolezza di sé e del proprio Valore. Ho già scritto in passato su questo aspetto indicando alcune linee meritevoli di riflessione:
http://www.mauroturrini.it/nue-5-educazione-alla-verita/
E sarà necessaria un forte determinazione per avventurarsi in un’impresa tanto affascinante quanto insidiosa quale il permettere a tutti di diventare se stessi, respirando genuina libertà. La prima condizione perciò è uscire dalla mascherata ipocrisia di cui si copre l’istruzione di regime, inconfessato progetto di formazione perpetua del gregge. Va smantellato il piano perverso di omologazione ma va fatto eticamente.
La storia passata e recente è piena di inni alla libertà bagnati di sangue. I cambiamenti invocati nei secoli andati hanno portato certo conquiste importanti, ma a prezzo di massacri inauditi di colpevoli e innocenti. Ghigliottine e forche, roghi e campi di sterminio, atrocità silenziose e vigliacche hanno avvilito ideali nati dal desiderio vivo di una libertà soffocata dai potenti. Promesse di cambiamento avvolte nel veleno di nuove schiavitù hanno costellato generazioni e generazioni, sempre frustrate nella speranza delle moltitudini di una vita diversa. Vecchi illusori umanesimi! Fatti di tragedia e morte!
Chiamandolo Eticratico, si fa strada invece un concetto inedito di Umanesimo. Una rivoluzione amorevole e non violenta, all’insegna della dignità di ogni Essere Umano, ormai avviato a diventare Signore del suo tempo e del suo talento, aperto a donare e a ricevere quanto di meglio l’intelligenza creativa ha sviluppato e prodotto. Ponendo le premesse nel Bene, nella Felicità, nella Virtù e nell’Amicizia si può essere convinti che il risultato sarà veramente ottimo. Tale da portare a una Politica che assolva alla sua più alta funzione di scienza architettonica in sommo grado dedita a promuovere in ogni cosa la felicità dei cittadini. Non si estinguerà tuttavia la responsabilità personale di curare la propria educazione ad essere di Valore. Il Nuovo Umanesimo Eticratico sarà un’esperienza di bellezza assoluta per gli eticamente educati, spietato tuttavia per i buoni a nulla che ci si augura siano veramente una élite da non invidiare. Ben scrisse Esiodo tanto tempo fa: “L’uomo assolutamente migliore è colui che tutto pensa da sé; buono è pure quello che presta fede a chi ben lo consiglia; colui che non è in grado di pensare da sé, né ciò che sente da un altro sa accogliere nel suo spirito, è un buono a nulla”.
Per il momento mi fermo a questi spunti essenziali, completando così l’analisi dei tre concetti di Umanesimo Nuovo e Eticratico. Li ho presentati in alcune Lezioni di Filosofia tenute lo scorso luglio.
Poi, con altri elementi, entreranno nell’ultimo capitolo del libro che avrà un titolo difficile da scordare! In edicola prima di Natale.